"MATTONELLE IL SITO
MALEDETTO" -104 Metri (Febbraio 2000/Marzo 2001/Agosto 2003)
Quando feci la prima immersione di
esplorazione su questo sito ero come sempre in compagnia di Enrico e anche di
Andrea che avevamo appena conosciuto e che avrebbe dovuto indicarci il posto in
base a dei punti che gli diede un pescatore che praticava la pesca a
strascico.
Queste le condizioni meteo quando
uscimmo in mare dal porticciolo per dirigerci fuori da "Capo
Malfatano":
mare piatto, cielo totalmente coperto
dalle nuvole, pioggerellina fitta e insistente accompagnata da un freddo
cane; tutto nella norma eravamo in Febbraio.
Dopo dieci minuti di navigazione
dovemmo fermarci in quanto la piogerellina si era trasformata in un diluvio e
trovammo riparo sotto il telone del gommone sperando che un fulmine non
scaricasse la sua energia su di noi.
Inutile dire che come si placò il
diluvio e riprese la piogerellina proseguimmo la navigazione e quando arrivammo
in zona trovammo quasi subito il punto che il visore dello scandaglio ci segnalò
con un rialzo abbastanza dolce di due metri in mezzo ad un deserto di
sabbia.
Il pescatore che diede i punti ad
Andrea ipotizzava che potesse trattarsi di un bastimento, ma non poteva certo
esserne sicuro e
da li a poco sarei stato io a
scoprirlo in seguito alla segnalazione del punto preciso con il pedagno che
gettammo in mare.
Mentre mi preparavo il bibo 10+10
separato, caricato ad aria a 290 bar e indossavo la muta stagna maneggiando con
le mani atrofizzate dal freddo tutto il resto dell'attrezzatura, Enrico che
capiva perfettamente che si trattava di affrontare una immersione di un
certo impegno sia perchè da realizzarsi ad aria ad una profondità di - 104
metri sia per il freddo che avrei dovuto patire in deco, ma anche per la
luminosità da paragonare ad una immersione in notturna, disse ridendo e cercando
di smorzare un pò la tensione: il "ROV" si stà per immergere.
Non era certo la prima immersione ad
aria che praticavo oltre i - 100, avevo sulle spalle e sempre a scopo
esplorativo molte immersioni di quel genere con profondità massime raggiunte di
- 118/120 e permanenze sul fondo di 6/7 minuti, ma sapevo perfettamente che non
significava nulla e che erano performance "NO LIMITS" a rischio.
Ero pronto concentratissimo e
tranquillo, mi tuffai in quell'acqua scura e iniziai la discesa, a - 30 metri
era già buio pesto a causa del cielo coperto che impediva alla luce di filtrare,
mi mancavano ancora -74 metri per arrivare al fondo e accesi le due lucette che
avevo sul casco per controllare il profondimetro e i manometri, a - 80
metri cambiai erogatore passando ad utilizzare l'altra bombola d'aria, a - 92
metri rallentai la discesa e mi fermai per vedere se sulla mia verticale c'erano
reti a strascico impigliate e sospese dal fondo (non mi sarebbe
piaciuto rimanere incastrato a quella profondità, con assenza totale di
luce e respirando aria) e da li raggiunsi lentamente i - 102
metri per trovarmi di fronte uno scenario che mi fece pensare che la
narcosi si stesse totalmente impadronendo di me.
Ovunque guardassi attraverso le
lucette sul casco vedevo bianco, un candore irreale, erano migliaia di
mattonelle e lastre in marmo di un formato che stimai intorno a cm. 50x50,
del relitto non scorsi nulla se non un gradino di 50/60 cm. che si
ergeva dal fango e che mi fece presupporre si trattasse di una chiatta che
affondò con il suo pesantissimo carico mentre veniva rimorchiata da in altro
mezzo navale.
Il mio compito era concluso per
il momento, non ci facevo più nulla la sotto, i sette minuti di fondo erano
stati sufficenti per stabilire che il bastimento che ipotizzava il pescatore
altro non era che una chiatta e i due metri di rialzo dal fondo erano le
migliaia di mattonelle e lastre in marmo sparpagliate in un raggio di circa 25
metri che formavano quel rialzo.
Ripresi la risalita, da - 75
metri lanciai il pallone attraverso il reel per segnalare la mia presenza
in superficie, a - 50 metri avevo già un po di fresco sia per la
temperatura dell'acqua che per tutta la colonna era di 13° C. sia
perchè avevo disperso la maggior parte del calore corporeo respirando circa
1100/1200 litri d'aria fredda in quei 7 minuti di fondo; a - 30 metri vidi
una leggera luce che filtrava dalla superficie, aspettai che mi calassero la
cima decompressiva con il peso, la vidi e la afferrai intuendo che il cielo
doveva essere ancora coperto in quanto a - 20 metri nonostante l'acqua fosse
cristallo non vedevo ancora il gommone.
Quando tolsi la testa fuori
dall'acqua dopo aver prolungato i tempi decompressivi a livello
precauzionale, ero un pò stanco e infreddolito ma stavo complessivamente bene e
sapevo che dovevo comunicare qualcosa prima che Enrico e Andrea morissero dalla
curiosità e quando dissi scherzando che ero stato colpito da narcosi e avevo
visto migliaia di mattonelle mi chiesero se stavo bene e se parlavo sul
serio.
18 Marzo
2001 - La tragica immersione
La seconda immersione su
mattonelle la realizzò Enrico allo scopo di filmare il sito in seguito
all'acquisto da parte sua e mia di telecamera, custodia ecc...
Enrico si immerse in trimix per non
risalire mai più, scomparve durante quella maledetta discesa e l'ultima volta
che vidi vivo il mio amico fu nel momento in cui gli porsi la telecamera prima
che iniziasse la discesa, che avrebbe realizzato abbastanza lentamente in
considerazione del fatto che voleva filmare anche il filo del
pedagno.
Ancora oggi non riesco a darmi una
spiegazione sull'accaduto, anche se capii che il problema si
verificò durante la discesa e con tutta probabilità intorno ai -75/80
metri, in quanto dopo 3,5/4 minuti dal momento in cui Enrico iniziò
l'immersione, improvvisamente una quantità enorme e continua di bolle
cominciò a salire in superficie per circa 40/50 secondi per poi smettere
completamente, era l'erogatore dell'aria che andava in autoerogazione, da
li fui preso dalla disperazione controllata, la definisco in questo modo in
quanto cercai comunque di monitorare tutto senza perdere la calma sperando
di vedere il pallone di segnalazione sbuffare fuori dall'acqua
anche distante dal punto in cui stava il pedagno; continuavo a girare intorno sperando che questo si verificasse, ma
avevo già capito che era successo l'irreparabile.
Avevo sulle spalle una immersione a -
93 metri conclusa circa un'ora e mezzo prima e pochissima aria a
bordo, in caso contrario la reazione immediata sarebbe stata quella
di gettare l'ancora, calare il narghilè con l'ossigeno e
immergermi per cercare Enrico, ma sarebbe stato ormai totalmente inutile
agli effetti di salvargli la vita.
Ho sempre pensato che il mio amico
fosse stato colpito o addiritura avesse visto qualcosa all'
improvviso che lo mise in condizioni di non operare, rendendo
ogni reazione vana; una cosa è certa la miscela di fondo trimix non fu
neanche sfiorata e ebbi modo in seguito di verificarne la pressione di 250 bar
che corrispondeva esattamente a quella iniziale; in più la utilizzai diversi
mesi dopo per una immersione ad una profondità analoga a dimostrazione
del fatto (i più maligni dissero che la causa dell'incidente poteva
imputarsi alla errata preparazione della miscela trimix) che le miscele
preparate da Enrico erano sempre impeccabili.
L'altra bombola,
quella dell'aria, che inizialmente era carica a 260 bar e dopo
l'incidente aveva una rimanenza esigua, si scaricò durante
quell'autoerogazione dell'erogatore provocata da chissà che cosa.
In quei giorni successivi la sua
scomparsa si susseguirono tante voci comprese quelle che appresi su
internet, molte delle quali prive di fondamenta, di obiettività e sopratutto di
conoscenza dei fatti e dettate solo dalla volontà di speculare sulle
disgrazie altrui.
L'esperienza e la
preparazione di Enrico non erano certo da mettere in discussione ma le
sciocchezze che sentii e lessi in quei giorni si, ne cito una su tutte, "se si
realizzassero immersioni entro i limiti didattici e in coppia il numero di
incidenti si ridurrebbe parecchio".
Allora non risposi a quelle
provocazioni perchè come si può ben intuire avevo altri problemi molto più
importanti da affrontare, ma adesso mi chiedo come mai ogni anno
"immancabilmente" muoiono subacquei brevettati, ogni tanto anche qualche
istruttore a profondità per quanto mi
riguarda "ridicole" -35/40/50/60 metri? Perchè si muore anche due alla
volta durante immersioni "tecniche" in coppia?
Potrei continuare all'infinito
dicendo che magari si muore a - 40 metri in modo molto
banale perchè non ci si rende conto che si deve risalire prima che l'aria
termini completamente e non si è accorto di questo particolare trascurabile
neanche l'istruttore che stava in immersione, oppure che con un EAN 32
sfori con la profondità e invece di trovarti a - 40 metri vai a finire
magari a -55 metri e ancora, stai risalendo dopo una bella immersione in trimix
sei super brevettato e a -65 metri invece di cambiare con l'aria vai a
respirare l'EAN 50 che avresti dovuto assumere a -21 metri. Credetemi
non sto parlando di fantascienza.
Vorrei anche riportare qui di seguito
e per intero l'articolo del 19/03/01 pubblicato sulla "NUOVA SARDEGNA"
e firmato dal Sig. Stefano Garau, con una miriade di descrizioni non
corrispondenti alla realtà; commenterò le inesattezze aprendo una parentesi
e modificando il carattere con uno in corsivo per distinguere
le due parti:
TEULADA Un sub di Villacidro
annega nelle acque di Capo Malfatano
TEULADA. Annega in un fondale di
ottantanove metri (la profondità era di -104 metri) un giovane sub
specializzato in servizi fotografici. (nessuno dei due era specializzato in
servizi fotografici, eravamo agli inizi e la nostra specializzazione erano
le immersioni profonde a scopo esplorativo) Il corpo di Enrico Saver,
33 anni di Villacidro è stato recuperato ieri notte intorno alle 22,30 dai sub
dei vigili del fuoco al largo di Capo Malfatano. (per la precisione è stato
utilizzato un ROV del corpo dei vigili del fuoco per il recupero e comunque li ringrazio per aver svolto con professionalità un lavoro certo non piacevole) E'
l'epilogo di una tragica domenica che era cominciata di buon mattino per Enrico
Saver che assieme a un amico, Alberto Angius, aveva raggiunto la zona a due
miglia dalla costa, a bordo di un gommone. Dovevano realizzare un servizio
fotografico dedicato agli antichi relitti ( servizio filmato e non
fotografico e per l'esattezza di una chiatta che trasportava un carico enorme di
mattonelle di marmo) che si trovavano nei fondali di Capo
Malfatano.
Dopo alcune immersioni, Alberto
Angius è risalito a bordo dell'imbarcazione e ha atteso la risalita di Enrico
Saver. ( intanto la mia fu un'unica
immersione alla profondità di - 93 metri, realizzata ad aria, da
solo e in un'altro sito al largo del golfo di Teulada con Enrico
che mi assisteva in superficie; solo circa un'ora e mezzo dopo il
mio caro amico si immerse sulla chiatta delle mattonelle al
largo di Capo Malfatano per realizzare il filmato ) Una cosa non
semplice, se si considera che in quella zona, a due miglia a sud da Capo
Malfatano, c'è un fondale che supera i cento metri. Il primo pensiero è
andato quindi all'attesa per la decompressione, ma il cronometro continuava a
girare e di Saver nessuna traccia. Intorno alle 15 Alberto Angius ha lanciato
l'allarme e sul posto sono giunte due motovedette della guardia costiera ( la CP
811 da Cagliari e la CP 812 da Sant'Antioco) un elicottero della guardia di
finanza e la squadra sub dei Vigili del fuoco.
L'intervento dei sub della squadra di
soccorso ha dovuto attendere l'arrivo di un'altra imbarcazione dei vigili del
fuoco ( la VF 444) dotata di camera iperbarica e attrezzatura di ricerca in
fondali di questo tipo. I due sub, stando a quanto emerso, rientravano in una
squadra di veri esperti e non era la prima volta che battevano quel tratto di
mare per la realizzazione di servizi fotografici. ( Non era certo la prima
volta che battevamo quel tratto di mare , ma la prima nella quale utilizzammo la
telecamera subacquea fuori da Capo Malfatano) Questa volta
però, qualcosa non è andata per il verso giusto. L'ipotesi più probabile, al
momento, è quella che Enrico Saver possa essere stato colto da un malore durante
l'immersione. Era risalito per un cambio di bombole, per aumentare l'autonomia
nella ricerca di un relitto ma poi, ( nessun cambio di bombole, da quando in
quà si compie una immersione a oltre - 100 metri e poi si risale come niente
fosse per prenderne delle altre e poi ridiscendere?
PAZZESCO ) di lui, nessuna traccia fino alle 22,30 quando
il corpo è stato individuato adagiato sul fondo, zavorrato dalla cintura con i
piombi che teneva ancora legata alla vita. Con Alberto Angius, di buon mattino,
avevano stabilito un percorso diverso per cercare di perlustrare il maggior
spazio possibile in quei fondali sabbiosi, alla ricerca di un'unica secca di
quell'immensa prateria sottomarina dove, dalle coordinate risulterebbe il punto
in cui due anni fa affondò un imbarcazione da pesca. ( tutto errato, sia io
che Enrico sapevamo con esattezza dove immergerci, quindi nessuna ricerca
particolare era stata effettuata ) Le suggestive immagini dei fondali
marini della Sardegna erano diventate il risultato dell'hobby preferito dai due
sub che praticavano questo lavoro più per passione che per guadagno. ( non
hobby ma sport praticato con impegno e professionalità ) Era stato proprio
Enrico Saver, qualche anno fa a finanziare l'iniziativa, acquistando bombole,
attrezzatura da sub e il gommone sopra il quale Alberto Angius ha atteso anche
durante le ricerche del suo amico fraterno e compagno di escursioni sottomarine.
( questa frase può essere interpretata in maniera non corretta per cui tengo
a precisare che: nonostante io e Enrico fossimo come due fratelli, ognuno di noi
aveva la propria indipendenza totale in fatto di attrezzature
subacquee compresi i mezzi nautici e che l'unica spesa che facemmo in
comune al 50% fu la telecamera e la custodia subacquea )
Mi auguro che quei pluridecorati
e super brevettati della subacquea che "sparlarono" in quei giorni e se
amano davvero questo sport, un giorno possano vedere anche solo un millesimo di
quello che ha potuto vedere sott'acqua Enrico Saver, ma francamente dubito che
questo possa mai accadere.
Devo anche dire che ci furono molti
operatori del settore, fra questi molti istruttori, che si scagliarono contro
questi "luminari" della subacquea e non potei che essere solidale con
loro.
Dopo questa doverosa puntualizzazione
proseguo dicendo che con Stefano circa due settimane dopo
l'incidente realizzammo l'immersione per recuperare la telecamera e la
maschera di Enrico e fu la terza immersione in quel sito, la seconda per me e la
prima per Stefano.
Lo stato d'animo era pessimo e
avevamo entrambi l'umore sotto i piedi anche se si cercava di mascherarlo il più
possibile e ci immergemmo con mare formato, forte corrente e acqua torbida
per almeno i primi 75/80 metri, ma fu la giornata migliore dopo una
settimana e mezzo di bufera.
Sul fondo ci implosero due lampade
anche se garantite fino a -120 metri, recuperai la telecamera e Stefano la
maschera di Enrico mentre si faceva il segno della croce nel punto in
cui perse l'amico, con il quale aveva vissuto tante avventure in mare; facendo
finta di niente gli feci segno che era arrivato il momento di
risalire.
In decompressione un moschettone
difettoso nel quale avevo agganciato la telecamera si aprì a causa dell'urto
contro la cima decompressiva e mentre ero agganciato alla jon line questa si
impigliò all'erogatore e alla maschera strappandomeli, (questo il motivo per cui
ho modificato le jon line con uno sgancio rapido) alla velocità della luce mi
ripresi maschera e erogatore e vidi Stefano che si fiondava poco più giù ad
agguantare la telecamera, operazione che gli costò purtroppo la rottura di
un timpano.
Era stata una giornata strana con
imprevisti causati anche dalla velocità con cui avevamo organizzato il tutto, ma
entrambi la sotto e a modo nostro salutammo il nostro amico.
Sulla via del ritorno insieme a
Andrea e Bruno che ci fecero da assistenti in superficie trovammo anche una
tartaruga ferita che consegnammo ad un incaricato del centro specializzato
di Pula che si preoccupò di curarla.
Agosto
2003 - L'immersione e la realizzazione del filamto
Dopo due anni e cinque mesi dalla
scomparsa di Enrico, ho realizzato l'immersione con mio padre unico assistente
in superficie, per filmare il sito e salutare Enrico, ho ripreso oltre le
mattonelle anche una bitta con intorno una grossa gomena spezzata che
sicuramente era servita per il rimorchio della chiatta.
Ho anche filmato il pedagno con la
cima che io e Stefano la notte dell'incidente mandammo a fondo.
Tutto o.k. ma nessuna soddisfazione
per questo filmato che comunque prima o poi avrei dovuto
realizzare.
Concludo ribadendo che
quando compio immersioni esplorative profonde che richiedono un certo
impegno psicofisico, per filmare o semplicemente per visionare un sito, non mi
passa neanche per l'anticamera del cervello di accompagnarmi con altri
subacquei ; ( l'immersione con Stefano per il recupero della telecamera e della
maschera fu una eccezione in quanto ho per lui una grande
considerazione come subacqueo) a certe profondità e condizioni impegnative
l'essere in coppia è per me motivo di grande responsabilità
e attenzione nei confronti del compagno con conseguente calo di concentrazione
nei confronti dell'obiettivo primario per cui ho programmato
l'immersione.
Diverso è quando si realizzano
immersioni a profondità meno elevate e a scopo di "puro
divertimento" nelle quali per quanto mi riguarda è tutto più facile,
anche la gestione di un eventuale incidente con soluzione del problema, nei
confronti di un altro subacqueo.
In situazioni come queste mi sono
immerso anche in compagnia di quattro subacquei per volta.
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